Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi (1Gv 1,3). Così scriveva l’apostolo Giovanni alle sue comunità. E così noi ancor oggi talvolta cantiamo nella nostra bella chiesa parrocchiale di Sant’Angelo, dando voce alle sue parole!
È vero: abbiamo ascoltato, visto, contemplato e toccato qualcosa di meraviglioso e affascinante, durante i giorni di pellegrinaggio condivisi tra il 10 e il 14 aprile.
A Loreto, abbiamo visto le mura della casa di Nazaret, portate da mani di angeli tra le colline verdissime delle Marche e custodite ora in un Santuario ricchissimo di testimonianze d’arte e di devozione, che si staglia quasi come un faro sulla costa adriatica. Abbiamo toccato quei mattoni antichi, un tempo aggrappati ad una grotta di Galilea, dove per trent’anni la famiglia di Nazaret ha vissuto la quotidianità di gioie e passi maturati insieme.
A San Giovanni Rotondo, abbiamo ascoltato, visto, contemplato e toccato la testimonianza viva di San Pio da Pietrelcina. Le sue povere reliquie, il suo corpo e le sue poche e semplici cose di frate francescano, sono custodite in uno scrigno tutto d’oro, che avvolge la sua memoria e porta le anime dei devoti verso la bellezza di Dio. Per qualcuno – compreso il sottoscritto – questa è stata anche l’occasione per “riconciliarsi” un poco con una figura come quella di San Pio, controversa e dibattuta in vita e in morte, accompagnata da tanta passione popolare ma anche da mille dubbi e interrogativi, molti da parte della stessa Chiesa, che sempre giudica con prudenza e attenzione. Se, nonostante tutto, ci è stato indicato come “santo” è proprio e soltanto per un motivo: per il suo desiderio di seguire da vicino l’unico Bene e indicare al mondo le esigenze forti e impegnative (e per questo salutari!) del Vangelo, che non può conoscere compromessi con il male. E si sa, quando ci si lascia afferrare e conquistare dal Bene, sempre si corre il rischio di essere fraintesi, giudicati, derisi. E per questo c’è sempre e solo bisogno di annunciare misericordia e riconciliazione: le strade che San Pio indica ancora al nostro mondo.
A Monte Sant’Angelo, meta e cuore di questo pellegrinaggio di fede, siamo scesi nelle profondità della grotta, luogo santo e “terribile”, che ha visto apparire la Potenza di Dio nelle sembianze dell’Arcangelo Michele. Grati per la sua “visita” in parrocchia l’anno scorso, sentivamo il desiderio di ricambiare con un gesto di devozione e di affetto, uniti ai pellegrini di Puglia e di tutto il mondo, che scendono ininterrottamente alla grotta dell’Arcangelo, rinnovando un gesto millenario di affidamento. E così abbiamo toccato l’unico altare al mondo non consacrato da mano d’uomo… E ci siamo rallegrati di avere per la nostra parrocchia un Patrono così amato come l’Arcangelo Michele! Ai suoi piedi abbiamo portato tutti i fratelli e le sorelle che ci hanno chiesto di essere ricordati laggiù.
Ad Ortona, poi, un altro incontro inatteso e sorprendente! La cripta della Cattedrale, ricostruita con fattezze moderne dopo i bombardamenti devastanti della Seconda Guerra Mondiale, custodisce le reliquie di uno dei Dodici, l’apostolo Tommaso. Di lui tutti ricordiamo il bisogno di vedere e toccare! Lui stesso ci ha scortati – meglio di qualsiasi altra guida turistica – fino al Santuario del Volto Santo, dove il nostro sguardo ha potuto scorgere lo stesso Signore che lui aveva incontrato e toccato nel Cenacolo.
Così, a Manoppello, lo sguardo è divenuto contemplazione e silenzio. Abbiamo visto – mettendo i nostri occhi nei suoi – il volto risorto di Gesù, impresso in modo umanamente inspiegabile su un fazzoletto, tanto prezioso da mostrare riflessi d’oro e d’argento. Un volto che si sovrappone esattamente a quello della Sindone. In questo piccolo santuario francescano non c’è stato molto da dire. Più che guardare (lo sguardo umano porta in sé anche il prurito di tanta curiosità), lasciarsi guardare da Lui.
Infine, sulla via del ritorno a casa, all’abbazia di Chiaravalle di Fiastra abbiamo visto e toccato con mano come diventa bella la vita di chi si dedica al silenzio dell’ascolto e alla ricerca spirituale. E ci siamo accorti che gli ambienti austeri di quell’abbazia medievale non erano per nulla chiusi e impermeabili al mondo, come se il tempo di chi si occupa delle cose di Dio fosse estraneo alla storia degli uomini. Anzi, da questo centro di spiritualità si sono diffuse nelle campagne circostanti la cura per la bonifica dei terreni e per le coltivazioni agricole, la produzione di buon vino e di olio profumato e l’accoglienza dei pellegrini, l’assistenza ai malati, il servizio ai più poveri.
Insomma, un pellegrinaggio intenso, completo, provocatorio. Ben riuscito per questi “ingredienti” speciali, ma anche per il coinvolgimento via via più consapevole di chi vi ha preso parte. Strada facendo gli animi si sono fatti più ricettivi, più aperti, più disponibili e più sciolti nella cordialità. E un clima sereno e disteso è sempre un buon volano! Come pure la bellezza della natura, il verde delle colline e dei boschi, l’azzurro cristallino del mare, il vento a tratti sferzante, i sapori gustosi della cucina e la compagnia condivisa a tavola e durante le lunghe ore di viaggio.
Decisamente, ritornando alle faccende di tutti i giorni dopo una parentesi di viaggio pur così intensa, la nostra vita frenetica non cambierà poi di molto… Almeno però possiamo dire di aver dato un buon nutrimento ai nostri cuori, perché possano essere più motivati e coerenti. Soprattutto per questo vale la pena di essere grati per giorni così unici e fecondi, e custodirne la memoria il più a lungo possibile.
don Alberto, con i pellegrini di Sant’Angelo (e dintorni)