Un aspetto davvero particolare della vita agreste viene raccontato nel libro presentato sabato 3 luglio a villa Ferracini dal “nostrano” Fiorenzo Andreatta, ispirato a un contadino gentiluomo. Un gesto distinto, quasi un inchino, ispirato principalmente dalla Storia, ma anche da quel nobile sentimento che chiamiamo amicizia.
“Fiore” mette insieme questo nobile sentimento e attraverso il filo dei ricordi e vecchie immagini, cerca di percorrere a ritroso il tempo passato per ritornare al punto da cui ha iniziato e in cui sono nati i primi virgulti della casata dei Barbato.
Per questo scopo Fiore accetta volentieri l’offerta dell’amico Flavio Barbato di fargli da compagno di viaggio e da Cicerone in quell’excursus di otre centocinquant’anni che, come una nebbia primaverile, si dipana nelle campagne della frazione di Caselle di Caltana (oggi di Santa Maria di Sala) dove il tempo è segnato dalla grama vita contadina e dal vivere di quelle donne e quegli uomini che, da quella terra non loro, traggono il magro sostentamento per sé e per le loro famiglie.
Il maggior rappresentante di questa dinastia Fiore lo identifica in Antonio Barbato, “Tonin”, non per esserne stato il fondatore ma, più semplicemente, per la lungimiranza delle sue idee, per l’avvedutezza nell’applicarle al lavoro dei campi e per la capacità di sapersi districare in situazioni non necessariamente legate alla campagna ed ai suoi molteplici aspetti.
Ecco allora che per Fiore il bracciante “Tonin” diventa “il contadino con la cravatta”, un segno distintivo questo, che nelle sue intenzioni avrebbe il merito di elevarlo nella scala gerarchica dei lavoratori della terra a quel tempo presenti. E’ un’ aspirazione più che legittima quella di Fiore, anche se l’antico detto “contadino scarpe grosse e cervello fino” gli si confarebbe assai meglio.
Ecco perché la cravatta che Fiore ha fatto indossare a “Tonin” ci appare più come un segno metaforico poiché la cravatta vera altro non è che quel semplice accessorio che, nella circostanza, il contadino mette sul “vestito della festa”, il quale vestito conferisce allo stesso una sorta di “Status” sulla sua condizione sociale.
La cravatta, sull’abito della festa, “Tonin” (come gli altri) l’avrebbe indossata in poche e rare occasioni, ad es: la messa domenicale, qualche rara visita dal medico, o una rarissima comparizione in banca o alle principali fiere del bestiame in cui gli affari si facevano sputandosi sulla mano prima di porgerla al contraente; rito, questo, che confermava che l’affare concluso sarebbe stato garantito più di cento carte bollate sottoscritte davanti ad un notaio.
La macchina del tempo cammina veloce mostrando a “Tonin” e a Fiore sprazzi di vite vissute e di lavoro antico. E Fiore, come fosse sotto dettatura, ci descrive minuziosamente questi momenti. Ci racconta la vita dei Barbato, simile a quella di tanti altri contadini della sua zona. Ci descrive la sontuosità della villa, ci racconta della stalla e del bestiame, della barchessa e dei granai, dei pozzi e delle fontane. Ci racconta dei vigneti e dei vini prodotti. Ci parla del pagliaio, dei morari e dei bachi da seta. Ci parla dei riti religiosi, delle donne e del ruolo che queste ricoprivano in un mondo patriarcale.
Poi la macchina del tempo si ferma. E’ il giorno di Natale del 2019.
Si arresta davanti all’Ospedale di Camposampiero e Fiore scende per dare un saluto all’amico “Tonin” impegnato a combattere un male che alla fine gli ruberà la vita.
Un pezzo di storia vissuta e raccontata di un nostro concittadino che ha fatto della sua vita un esempio da seguire.
Un plauso a Fiore davvero bravo a raccontare una vita passata che difficilmente ritornerà.
Luciano Martellozzo per Gente Salese