Per molti inverni, nelle giornate fredde di dicembre e gennaio, un pettirosso veniva a trovarci fermandosi sui rami spogli e rinsecchiti del melograno in giardino. Dalla cucina restavamo lunghi minuti a guardarlo mentre immobile, insensibile al freddo, ci intratteneva col suo canto corto e gorgheggiante e, mentre combattevamo contro un male estremo, lo vedevamo come un simbolo della vita che tenacemente vince sul freddo e le asperità dell’inverno. Quegli inverni sono passati, io sono rimasto solo in una nuova grande casa vuota. Per due tre inverni il nuovo giardino è stato silente e vuoto ma da due stagioni ed anche nell’ultimo freddo gennaio il piccolo pettirosso (io voglio credere che sia sempre lo stesso) è ricomparso. Piccolo, delicato esserino colorato e vivace ogni mattina viene a mangiare alla ciotola del cane. E nei lunghi momenti in cui restiamo a guardarci da vecchi solitari amici il suo canto melodioso ora mi riempie di nostalgia e tristezza il cuore. E in una di queste visite mattutine mi sono venuti in mente dei semplici versi amari di un anonimo poeta vecchio e stanco come me, che in un inverno di molti anni fa ho potuto leggere e copiare da un foglio appuntato su un vecchio portone di una solitaria via di Feltre. Come allora la voglio proporre ai nostri lettori. gv